SPECIALE LETTERATURA AMERICANA 

 

Qualche proposta e suggerimento su qualcosa da leggere per scoprire la letteratura di un continente "non solo USA". 

Grazie a Yucatan, estimatrice e conoscitrice del mondo latino-americano e amerindo che ha curato queste schede. 

  

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ANGELES MASTRETTA, Male d'amore, (Mal de amores, 1995) 

Feltrinelli, 1998, pagg. 284, traduzione dallo spagnolo di Silvia Meucci.

Passione per la vita, passione amorosa, passione politica e sociale; non si possono scindere i temi conduttori che animano e fanno palpitare il testo della scrittrice messicana, Angeles Mastretta, senza disarticolare la naturalità con la quale vivono i personaggi e senza scomporre il ritmo 
incalzante della narrazione. 

L'animo e l'azione di persone che decidono di sacrificare tutto, di rischiare ogni cosa in nome di un'ideale di fedeltà a se stessi ed alla propria gente sono la trama sottesa alla storia della famiglia Sauri, in parte pueblana, in parte yucateca, alla quale nessun uomo e nessuna donna si può avvicinare senza rimanere contagiato dall'ansia di vivere, di conoscere e di esprimere in ogni campo il proprio amore per l'esistenza. 

Questo è un precetto che non va tradito, anche se scoppia la rivoluzione messicana, anche se la causa del popolo viene sopraffatta dalla 
dittatura, anche se le circostanze portano a scelte sofferte e travolgenti. 

Non credo che servano parole diverse per rendere il senso più intimo della storia di quelle che l'autrice fa pronunciare a Milagros, la magica zia, 
come augurio nel momento della nascita della nipote, Emilia Sauri, 

«Bambina, i miei doni sono la follia, il coraggio, l'ambizione e l'irrequietezza. La fortuna degli amori e il delirio della solitudine. Il gusto per le comete, per l'acqua e per gli uomini. Desidero per te intelligenza e ingegno. Uno sguardo curioso, un naso dotato di memoria, una bocca che sorrida e maledica con precisione divina, gambe che non invecchino, un pianto in grado di restituirti la fierezza. Ti auguro di avere il senso del tempo che hanno le stelle, la tenacia delle formiche, il dubbio dei templi. Spero che tu abbia fede negli àuguri, nella voce dei morti, nella bocca degli avventurieri, nella pace degli uomini che dimenticano il proprio destino, nella forza dei tuoi ricordi e nel futuro come promessa che contiene tutto ciò che non ti è ancora accaduto. Amen»

 

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ANGELES MASTRETTA, Strappami la vita (Arrancame la vita)

Feltrinelli, 1988

In genere la letteratura nata da una penna femminile reca inconfutabili segni della visione e percezione della realtà tipica delle donne. 

A volte sono pochi cenni, a volte ogni pagina, ma sempre, anche ignorando l'autore, si ritrovano nello scritto "autografi" stilistici che denunciano 
un'attribuzione di genere. 

Così accade per lo più anche in Angeles Mastretta. Strappami la vita, eccezionalmente, si direbbe un'opera scritta a quattro mani, in compagnia di un uomo. 

Individuare punti in cui si isola il mascolino dal femminile non ha senso, dato che è un'impressione soffusa e che affonda le radici nelle vicende politiche del Messico, nella sua storia tra gli anni Trenta e Quaranta, subito dopo la Rivoluzione. 

Nessuna vita scorre più tranquilla e conforme all'etichetta. I fatti pubblici sono stati troppo travolgenti ed ora trascinano nel ritmo di un tango fatale Catalina, Andrés - il potente ed assente marito -, Carlos, l'amante amato e perduto per sola maschilista gelosia.

Alla fine di tutto rimane la donna, non più moglie, non più traditrice, non solo mamma, ma persona con la possibilità di uscire da ruoli e conformismi «Ottimista sul mio futuro, quasi felice». 

Con questo romanzo inizia la carriera dell'autrice, ma, ulteriore particolarità, Strappami la vita la porta subito alla vittoria del premio Mazatlan, lo stesso vinto da Octavio Paz e Isabel Allende.

 

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MEMPO GIARDINELLI, Luna calda,  (Luna caliente, 1983)

Guanda, 1999,  pagg. 141, traduzione dallo spagnolo di Angelo Morino, presentazione di Luis Sepúlveda.

Nel momento in cui si conclude l'ultima parola dell'ultimo rigo di questo avvincente testo di letteratura argentina si rimane per un attimo senza 
fiato. 

Ci si ritrova improvvisamente sconcertati dalla conclusione dell'incredibile vicenda e increduli sulle capacità esercitate dalla trama e dalla prosa fluente e densa di sensazioni che ha saputo proiettarci nell'atmosfera calda, quasi asfissiante per il calore, nella quale si muovono i personaggi della passionale vicenda. 

Sono persone comuni, che si credono "ordinarie" e "normali", finché eventi inattesi non giungono a rivoluzionare la quotidianeità, facendo emergere dagli animi risvolti truci e turpi, che erano rimasti sedati. 

Il futuro appare senza sbocco, almeno lecito, senza riscatto. 

Non un sentimento di espiazione nasce da costoro, cosicchè, se inizialmente si erano avvicinati ai personaggi dostoevskijani, gradualmente si imbozzolano in una nebbia di miserie comportamentali, che li innesta bene, però, nel panorama storico-culturale della nazione, nella metà degli anni Settanta. 

Ne deriva un sottinteso suggerimento a domandarsi se forse il ruolo di primo piano e quello di deuterogonista fra Ramiro/Araceli e il mondo del Chaco non debbano intendersi invertiti.
 

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MARCELA SERRANO, L'albergo delle donne tristi (El albergue de las mujeres tristes, 1997)

Feltrinelli, 1999


Su una piccola isola cilena, decisamente nel Sud, si incontrano e si confrontano tante isole femminili, donne che decidono di dedicare un periodo 
alla riflessione del proprio animo, della propria emotività, dei comportamenti e delle scelte fatte. 

Dalla solitudine, dal dialogo, dalla complicità, molte riescono a rinascere più fedeli all'immagine che desiderano avere di sé e, allontandosi dall'arcipelago di Chloé sono un po' meno tristi o più consapevoli dei risvolti che nella tristezza si possono incontrare. 

Un romanzo femminile su donne, ma non indirizzato solo a queste, dato che nell'identità di genere si fondano gran parte dei nostri atteggiamenti e del vissuto sociale e che capire un altro significa capire l'Altro, in ogni accezione di cultura, razza, sesso... 

Tanto più, quindi, in un tessuto storico in cui le relazioni di coppia sono una parte fondante, il confronto con il vasto mondo immaginativo, onirico femminile può lasciare emergere ambiti di comunicabilità. 

La prospettiva, tanto insolitamente marcata, lascia dimenticare, nel fluire sempre più morbido del racconto, le pagine d'avvio, in cui si intravede abbastanza chiaramente il telaio sul quale è stato tessuto l'intreccio narrativo.
 

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CRISTINA GARCÍA, Le sorelle Agüero, (The Agüero sisters)

Mondadori, 1999


«Ci sono giorni in cui avverto la calda nebbia del passato sulle mie spalle, le generazioni che mi hanno preceduta e ora vorrebbero suggerirmi la strada da prendere»

Credere di aver capito cosa è successo nella vita delle persone che ci stanno attorno è una grande presunzione e velleità. 

Ancora più difficile è pensare di avere chiare le dinamiche, le pulsioni, le motivazioni logiche o affettive che hanno generato la nostra stessa storia. 

Quando tutto sembra lampante avviene un cambiamento, un piccolo gesto o una parola che nasce improvvisa ed impensata da una parte inesplorata del nostro animo e sconvolge tutte le idee e gli schemi che avevamo arbitrariamente costruito. 

A volte, poche, qualcuno che incrocia la nostra strada può aiutarci, anche a costo di molta sofferenza, a gettare la luce sull'inconsistenza dei castelli di sabbia e lo spiraglio del dubbio sul passato, sul perché, sul come. 

Ed alla fine, questo duro percorso ci aiuta a vivere meglio, dato che solo astenendoci dal giudizio riusciremo, semmai, ad avvicinarci agli altri 
animi, accettandoli, amandoli, avendone bisogno.

Costancia e Reina vivono tutto questo nella separazione delle vite, tra Cuba e gli Stati Uniti, delle scelte politiche, del rapporto con gli uomini e con i figli. 

Non potendo capire il passato non riescono ad accettare il presente e sfruttano dolore e ricordi per autoinfliggersi solitudine e freddezza. 

Ma la vita ha deciso diversamente. Esse si devono ricongiungere per scontrarsi e rovescarsi addosso le verità, ignorate o rimosse, relative ai genitori, Blanca e Ignacio; al rapporto mortale di amore che li univa e che si è trasmesso come eredità alle figlie.

L'iter narrativo è spezzato, così come i processi mentali più intimi, ondeggia fra le generazioni e le persone e, come la psiche, a volte fa perdere al lettore la strada della comprensione. 

L'io evolve e muta per legarsi sempre all'elemento affettivo, più vero di ogni racconto storico. 

Sopra tutto domina la materialità, non come degradazione del sentimento, ma come luogo del lirismo e dell'energia vitale.

 

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DOUGLAS COUPLAND, Fidanzata in coma (Girlfriend in a coma) 

Feltrinelli, 1998

 
Velleitario. 

Questa è l'impressione che conclude la lettura del testo. 

Se non si ripensa alla parte introduttiva della storia, alle prime due sezioni in cui è suddivisa, nelle quali la narrazione è quasi fredda per l'eccesso di puntualità ed analiticità nella descrizione, assumendo i toni di una cronaca minima della generazione giovanile nei decenni Settanta ed Ottanta. 

Per quanto l'autore sia nato in Germania, tutta la sua vita è trascorsa a Vancouver, e delle tendenze sub-culturali del Paese si risente tutta la 
fragilità e la precarietà, proiettata nella vita dei protagonisti, ragazzi comuni che attraversano la dipendenza dalle droghe, dal peterpanismo, dal 
senso di nullità delle proprie vite. 

Il confronto con se stessi diventa tagliente nel momento in cui Karen, un'amica del gruppo, si risveglia dopo quasi vent'anni di coma. 

Ogni finzione viene svelata; tutte le tane-rifugio dalla propria coscienza vengono scoperchiate, perché Karen ha conservato l'idealità e la non assuefazione all'apatia, alla disillusione, alla noia. 

Ognuno deve fare i conti con questo ritorno. E qui inizia la parte millenaristica dell'opera. 

Karen è tornata per annunciare la fine del mondo. 

Questa visione premonitrice l'aveva indotta alla vegetazione decenni prima e questo ora la porta fuori dal sonno. 

La fine del mondo arriva; sopravvivono al Grande Sonno solo coloro che Karen ha indotto su una strada di autoconsapevolezza. 

Ma il cammino da sopravvissuti è ancora lungo e disincentivante. Ancora gli amici devono fare i conti con i propri pantani emozionali e solo nella chiusa riescono a dare forza alle loro speranze, idealità, convinzioni per cominciare a costruire un mondo migliore. 

Un urlo narrativo forse un po' adolescenziale, una seconda possibiltà forse auspicabile.
 

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CIRO ALEGRIA, L'uomo che era amico della notte (El hombre que era amigo de la noche)

Passigli, 1997

 
La letteratura peruviana abbandona le Ande e si sposta in territori altri. 

Il racconto ed il ritmo di Vargas Llosa, di José Arguedas lasciano il campo libero, in questo testo, al racconto "yankee". 

Tranne la lingua nella quale è scritto nulla più si ritrova della letteratura latinoamericana nella storia di ingiustizia e di pregiudizi narrata da Alegría.

 L'ambientazione è un città del Sud degli Stati Uniti, ricca delle contraddizioni e lacerazioni provocate da secoli di immigrazione forzata e di sfruttamento della manodopera di origine africana, e la forza della storia è nell'assurdità dell'ingiustizia che stravolge la vita di Pat Brook. 

Nulla può una persona discriminata davanti ad accuse false ma forti del colore della pelle di chi le pronuncia. 

Senza lottare Pat scappa e insegue, nella stessa America, il sogno americano di libertà, di potenzialità infinita dato da New York. 

Nella fuga notturna rivive la sua storia e quella della sua famiglia, paradigma di tante vite afro-americane soverchiate da leggi create da altri prima e senza di loro. 

Ma c'è vera forza nelle righe concitate e tese del giusto sfiduciato dal mondo? A volte la rivendicazione di libertà sembra quella dello scrittore, che crede di doversi scrollare di dosso uno stereotipo letterario. 

In alcuni momenti sorge il dubbio che ne stia solo sostituendo uno con un altro, che il monologo sia un po' distaccato, per quanto il monologo resti sempre intenso ed incalzante.

 

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